C’è stato un tempo in cui il cliente era “il re”.
Poi è arrivato il funnel.
Poi la buyer persona.
Poi il customer journey e mille mode/strategie del marketing moderno.
Oggi è il turno dell’Intelligenza Artificiale: l’ennesimo protagonista di un panorama in cui ogni nuovo strumento promette miracoli e in cui ogni imprenditore ripone le sue speranze di poter finalmente “fare qualche milioncino grazie all’ultima novità del momento”.
Se il tuo span d’attenzione non dovesse condurti fino a fine articolo, ti lascio uno spoiler: non succederà.
Quantomento non per mera grazia dell’IA.
Se invece vuoi addentrarti nel labirinto logico-analitico che mi porta dritto verso questa conclusione, ti invito a scorrere l’occhio sulle prossime righe.
Prima di scribacchiare l’ennesimo post di analisi su quanto l’IA sia utile ma non faccia tutto il lavoro per te, faccio anche una premessa.
Se proviamo ad essere onestamente razionali e andiamo oltre alla tifoseria da stadio per cui per qualcuno l’AI è il Santo Graal, mentre per altri uno strumento di annientamento delle nostre capacità intellettive, resta il fatto che abbiamo tra le dita una rivoluzione che segna un pre e un post, paragonabile all’avvento di internet, alla nascita di Google, alla diffusione di Facebook (e all’edizione integrale del Signore degli Anelli – Il Ritorno del Re).
È uno strumento.
E anche bello potente, direi: la posizione in cui si colloca in una scala che va da “cacca buu buu” a “ommioddio ma questa è la reliquia di San Gennaro che adesso mi fa o’ miracl” sta nel modo in cui impari a usarla… e con che scopo.
Non usare l’IA oggi (o vederla unicamente come lo strumento che ci renderà degli analfabeti decisionali che delegano ai robot anche il calcolo della somma di 2+2) sarebbe come vivere nel 2000 e ostinarsi a prendere informazioni unicamente grazie a salutari pedalate verso biblioteche remote invece che usare Google, da poco inventato.
Come funziona l’intelligenza artificiale
Partiamo dall’identikit dell’indagato.
Mi rendo conto parlando con una pletora di imprenditori ogni giorni che non è chiaro ai più cosa sia.
Non è un oracolo. Non è un genio creativo e nemmeno un consulente superstudiato.
L’IA (quella generativa, tipo ChatGPT, per capirci) non è altro che un sofisticato sistema di predizione linguistica.
In italiano potabile, vuol dire che prende il prompt che gli dai (cioè le parole che scrivi prima di cliccare “invio”), per attingere a un oceano sterminato di dati e ti restituirti la combinazione di parole statisticamente più probabile e coerente con ciò che hai chiesto.
Probabile e corente. Non geniale e corretta.
Per farla easy: l’IA non inventa e non capisce: riassembla.
Per carità, lo fa divinamente, ma patto che tu sappia cosa stai cercando e come lo vuoi servito.
Ed è in queste righe che si racchiude il grande fraintendimento di oggi: credere che basti “parlare” a questi strumenti per ottenere risposte utili.
In realtà, l’efficacia e qualità di qualsiasi output (il risultato della tua “ricerca”) dipende interamente dalla precisione e qualità dell’input, cioè del prompt.
Un po’ come nella vita, se non sai cosa vuoi, come lo vuoi (o peggio come riconoscerlo) l’IA non ti salverà: ti confonderà solo più in fretta.
In poche parole, se la usi alla stregua di Peter Griffin all’esame di matematica, ti consiglio di ridurre le tue aspettative.
Strategia: la regina delle variabili che l’IA non può inventarsi
La strategia è l’unico tassello che l’IA non può generare, perché non vive il tuo contesto, non conosce il tuo cliente, non respira la tua cultura aziendale.
Sì, è vero, puoi educarla. Ma fino ad un certo punto e con evidenti limiti di quantità di informazioni.
L’intelligenza artificiale può aiutarti a scrivere, sistemare, proporre, ma non sa cosa è giusto per te o per il tuo cliente. Devi dirglielo.
Prendiamo un imprenditore che decide di lavorare sul suo marketing e scrive su ChatGPT:
“Scrivimi una sales letter per il mio prodotto”.
Riceve un testo corretto, ben formattato e, se ha usato un prompt decente, anche persuasivo. Ma non c’è nulla che tenga conto del fatto che quel prodotto è rivolto a professionisti stanchi di essere presi in giro, che la sua azienda è in fase di lancio, che ha un testimonial importante ma ancora poco conosciuto ecc..
Tutto questo devi in primis saperlo tu, per poi poter guidare l’IA verso la direzione che serve al tuo cliente.
In assenza della tua capacità strategica, l’IA scrive il contenuto giusto, ma per la persona sbagliata.
È come infilare nel Bimby tutti gli ingredienti di una torta e aspettarsi che capisca da solo cosa farci e magari intuisca anche che i tuoi ospiti sono intollerante al glutine.
Certo che può preparare il piatto richiesto, ma non solo serve qualcuno che la ricetta la conosca e imposti il robot di conseguenza, ma serve anche che chi usa il robot da cucina sappia verificare che stia eseguendo le istruzioni richieste e sappia rimetterlo in riga se ci sono stati “fraintendimenti” o errori nel percorso.
Se usi già ChatGpt avrai notato che, nonostante tu dia delle indicazioni e dei contesti estremamente chiari, spesso decide arbitrariamente di ignorarli.
Chi si è divertito a usare l’IA per la generazione di immagini avrà notato che, soprattutto un anno fa, spesso toglieva o aggiungeva dita alle mani.
È un ottimo esempio per rendere palese cosa intendo quando parlo della tua capacità di riconoscere la qualità del lavoro dell’IA.
Tutti sappiamo che, di norma, la mano umana ha cinque dita e, se dopo aver richiesto l’immagine di una persona questa appare con una mano a forma di guanto da cucina, sappiamo riconoscere che il risultato non va bene.
Solo così possiamo “tirare le orecchie” al nostro assistente, migliorare l’istruzione, dire che vogliamo una mano con 5 dita, e se ne vediamo 6, ancora una volta, sappiamo che qualcosa non va.

Lo stesso principio vale se usi dell’IA per compiti più sofisticati, dove serve competenza per giudicare la qualità del risultato. Su questo punto torneremo più avanti, ora vorrei approfittarne per spezzare qualche lancia a favore dei robot che stanno invadendo la nostra quotidianità.
Dove l’IA può migliorarti la vita (e anche tanto)
L’IA eccelle nella progettazione di strategie di marketing se impari ad usarla come un laser: per tagliare con precisione dove prima ci volevano ore di seghetto, per preimpostare un lavoro, ma non per sostituire il disegno.
Ecco dove l’IA è davvero impagabile:
- Ricerche: benchmarking, comparazioni, raccolta di riferimenti per articoli e script. Velocità e sintesi che nessun junior sa garantire.
- Scrittura bozze: basi di testi da cui partire, in un attimo, senza errori e con struttura coerente.
- Assistente editing e correzioni: punteggiatura, correzioni refusi e correzioni ortografiche.
- Traduzioni di concetti: da tecnico a semplice, da lungo a sintetico, da emozionale a formale e così via.
Insomma: non è il sostituto del pensiero, ma un moltiplicatore e accelleratore dell’esecuzione.
Dove ti frega (se non sai cosa chiedere o cosa stai guardando)
Ed eccoci al punto dolente: l’IA ti restituisce sempre qualcosa, ma non ti dice se è corretto, rilevante o utile. Sta a te saperlo.
In altre parole, devi saper giudicare.
Hai chiesto un annuncio pubblicitario? Ottimo. L’IA te lo restituisce in 4 secondi, bello pulito. Ma…
- Dov’è la promessa?
- C’è un beneficio tangibile?
- Parla davvero al target o suona come il generico spot di una pubblicità anni ’80?
Se, per esempio, non sai cos’è un hook controintuitivo nel copy e perché in quel caso ti servirebbe in apertura il risultato che leggi ti potrebbe sembrare decente… anche quando non lo è.
Per tornare all’esempio della mano storpiata dai generatori di immagini, devi avere quel background strategico e tecnico per capire se hai davanti un buon risultato o qualcosa di inutilizzabile
L’IA non “sbaglia”, sei tu che non le hai detto cosa fare
L’intelligenza artificiale non lavora per “obiettivi”, ma per somiglianze. Se le chiedi “scrivimi una newsletter per il lancio di un nuovo servizio”, lei lo fa.
È un’ottima esecutrice. Ma è come un cavallo da soma. Ha i paraocchi. Non vede al di là di quello che le hai detto di fare. Non si pone il problema del contesto o degli effetti della sua risposta.
Non sa se il tuo pubblico è già cliente, se conosce il brand, se ha già ricevuto altre 6 email simili.
Non sa nulla di ciò che ha senso fare.
La domanda qui però è: tu lo sai?
Perché scrivere un contenuto corretto è facile. Scrivere quello giusto, molto meno.
Se lo sai, sei già in una posizione di vantaggio per due motivi:
- puoi inserirlo in un prompt dettagliato;
- puoi capire se l’output ha rispettato la tua richiesta (o se ChatGPT ha fatto un po’ come gli pare)
Perché l’IA non può essere il tuo strategist
A rischio di suonare ridondante: l’intelligenza artificiale, usata bene, ti fa risparmiare tempo, concentrazione, energia, ma solo se sai dove stai andando.
Immaginalo come un efficentissimo tirocinante junior da formare in grado di recuparare informazioni a velocità mostruose. Ma se sei un imprenditore senza direzione, l’IA ti farà solo andare più veloce… nella direzione sbagliata.
Il vero lavoro non è MAI chiedere all’IA di lavorare per te, ma saperle dire cosa scrivere, come e perché, valutare il suo compito e usarlo.
Se questo manca, nessuna tecnologia ti salverà dalla confusione, ed è per questo affidarsi all’intelligenza umana, con giudizio strategico, non è una spesa, ma l’unico investimento che ti permette di non perdere la testa mentre tutto accelera.
L’IA è un trapano elettrico, non un falegname
Facciamo finta per un momento di essere nel 1870. Sei un falegname e passi le giornate a levigare, piallare, incastrare, lucidare. Le tue mani sanno fare cose che la maggior parte della gente non capisce nemmeno, figuriamoci replicare.
Poi, un giorno, arriva la corrente elettrica e con lei trapani, levigatrici, smerigliatrici. Alcuni ovviamente dicono: “Che meraviglia! Non ho più bisogno di pagare 10 ore di lavoro al buon Giuseppe del caso. Mi compro uno di questi aggeggi e mi faccio la cassapanca da solo.”
Peccato che poi succeda sempre la stessa cosa: il legno si scheggia, il bordo si storce, i fori sembrano scavati a morsi da una talpa col Parkinson.
Il problema non mai è lo strumento, ma chi lo impugna.
Un falegname, quando mette le mani su un trapano elettrico, non smette di lavorare: lavora meglio. Ottiene lo stesso risultato in meno tempo, con più controllo, più precisione, più energia conservata per i dettagli. Perché sa già dove mettere il punto, quanto premere, quanto scavare. Sa riconoscere il legno, le venature, l’umidità. Sa cosa vuole ottenere.
Il trapano non lo sostituisce. Lo potenzia.
Con l’intelligenza artificiale è esattamente la stessa cosa.
Uno strategist, un copywriter, un grafico con esperienza sanno cosa serve, sanno quando usarla e verso che direzione impostarla.
Un imprenditore senza una visione strategica completa, invece, usa l’IA come il principiante che appende un quadro col trapano a martello: un cratere, una parete rovinata, il quadro storto e, alla fine, il sospetto che forse doveva chiamare qualcuno.
L’IA è uno strumento straordinario, ma nella maggior parte dei settori resta a supporto di chi il mestiere lo sa già fare. Il resto è bricolage digitale: rumoroso, lento e sempre più costoso di quanto sembri.
Puoi sostituire i tuoi consulenti con l’IA?
Alcuni, beh, sì.
Spesso questa domanda riceve risposte zuccherose tipo: “No, l’IA non avrà mai l’empatia dell’uomo, la coscienza, il tocco”. Verissimo. Ma parliamo di business.
Chi eroga servizi con preparazione mediocre, sarà spazzato via, e fa parte del gioco.
Molte attività proveranno a delegare all’IA ciò che prima richiedevano a un fornitore, e se possono ottenere qualcosa di vagamente simile gratis o alla modica cifra di 20 euro al mese su ChatGPT, invece di pagare 2, 3 o 5 o 10 mila euro, ci proveranno.
Ma non stiamo parlando di aziende strutturate che cercano consulenti affidabili, progetti che richiedono diversi cervelli all’opera, diverse intelligenze al servizio (umane e artificiali), strategie complesse e complete, oleate nel dettaglio, personalizzate sul settore, sull’azienda e i suoi obiettivi. Stiamo parlando di chi vuole uno strumento singolo, da usare magari alla cieca, da lanciare come una monetina nel pozzo. Un testo. Una sales letter. Un post. Per poi incrociare le dita.
È comprensibile, ma ci sono dei potenziali boomerang a cui fare attenzione.
Se per esempio stai progettando per la tua azienda dei materiali cartacei — riviste, brochure, libri, kit di onboarding — destinati ad aumentare conversioni, fiducia e posizionamento…
ti fideresti di stampare 1.000 o più copie di un testo generato da un’intelligenza artificiale senza farlo passare al vaglio da un professionista?
Se stai pagando 1.000 euro al mese di campagne Facebook, perfettamente settate, hai un funnel, un sistema di tracciamento, un obiettivo chiaro, davvero vuoi rischiare che l’annuncio, l’headline o il copy che lo sostiene sia una stringa frettolosa dell’IA non necessariamente in linea con la tua strategia?
O ancora: hai fatto tutto giusto. Il cliente ha detto sì. Firma, bonifico.
E poi gli mandi una mail scritta da un IA mal indirizzata, fredda, standard, fuori tono. Proprio quando avresti dovuto mostrare attenzione, cura, una voce personale, calore umano, gli trasmetti che ti sei arrangiato, che a te bastava acquisirlo, non coccolarlo.
Forse la tecnologia un giorno ci sostituirà, ma non perché diventerà “più umana”, piuttosto perché molti preferiranno risparmiare subito tempo e denaro, invece di investirli meglio.
Se ti affidi all’IA, almeno fai in modo che sappia dove andare
L’intelligenza artificiale non è né il problema né la soluzione. È uno strumento neutro, che riflette la chiarezza — o la confusione — di chi la usa. Ti può aiutare a scrivere, a impaginare, a riordinare. Ma non decide cosa serve alla tua azienda, in questo preciso momento, per crescere.
Quella è una responsabilità umana, strategica.
E se pensi di cavartela chiedendo a un robot (o a un umano) un pezzo alla volta — un post oggi, una brochure domani, una sales letter dopodomani — otterrai il classico risultato da puzzle spaiato: ogni pezzo sembra promettente, ma non si incastra con nessun altro. Non c’è un disegno, non c’è una regia.
È possibile, certo, ma il marketing non è la somma di strumenti isolati, è un ecosistema. Significa che sito, campagne, CRM, materiali cartacei, automazioni e contenuti non lavorano a compartimenti stagni, ma si alimentano a vicenda dentro una strategia. Ed è qui che serve una regia unica: qualcuno che sappia progettare l’intero sistema e gestirlo nel tempo, perché continui a funzionare e crescere. Altrimenti è come ristrutturare casa coordinando da solo idraulico, muratore, elettricista e architetto: caos, in cui nonostante la bravura dei singoli, manca la regia e l’armonia di un progetto che tenga tutto insieme.
È questo che facciamo in Marketi: non solo mettiamo i pezzi al posto giusto, ma li facciamo vivere come un organismo unico, in movimento costante verso i tuoi obiettivi. Se vuoi scoprire come potrebbe funzionare per la tua azienda, chiedicelo cliccando sul bottone qui sotto.